Salve a tutti. Uno dei per il quale aprii questo Blog era anche quello di far leggere i miei racconti. Ebbene si, uno dei miei passatempi preferiti è quello di scrivere racconti brevi. Questo si intitola "Notte infinita", uno di quei racconti che si presta a diverse interpretazioni. Leggetelo se avete tempo, poi mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, spero che vi piaccia.
***
Era sempre la notte. Sempre.
Il sole non c'era più, era scomparso. Un giorno era sceso dietro l'orizzonte e non era più risalito.
Il cielo era nero, fatto di un'oscurità profonda e uniforme che incombeva sulle teste di tutti, rotta giusto da qualche stella e dal volto cadaverico della luna.
Mi ricordavo ancora di quando esisteva il giorno ed ogni mattina il sole faceva capolino riempendo di luce e calore ovunque i suoi raggi arrivassero. Quei momenti li ricordavo con una nostalgia struggente e una amarezza profonda.
Ero appena un ragazzo quando accadde, non avevo più di dodici o tredici anni: un mattino il sole semplicemente non era sorto, né quello dopo, né mai più.
Quei giorni rimasero impressi nella memoria di tutti. Ovunque c'era una gran confusione che a tratti si mischiava con il panico e a tratti con la curiosità per il fenomeno inspiegabile. Furono in molti coloro che tentarono di trovare una spiegazione, un motivo, una giustificazione per ciò che era accaduto, ma apparve presto chiaro che non ne esistevano o per lo meno erano impossibili da trovare e logicamente se era impossibile trovare una causa era impossibile trovare una soluzione.
Così si applico quel principio, ben radicato nella mente umana, che quando un problema non si può risolvere, oppure è troppo difficile farlo, non ce ne si preoccupa.
L'ansia che la situazione prevedibilmente procurava pian piano svanì e la gente, in fondo non aveva altra scelta, prese atto del cambiamento e incominciò ad adattarsi alla nuova condizione.
All'inizio si tentò di rendere il cambiamento meno radicale possibile e si iniziò a fare un largo uso della luce elettrica. Ciò garantiva luminosità e permetteva di evitare una vita di perpetuo buio. Ma c'era qualcosa di triste e terribilmente malinconico nella luce elettrica: ora che era diventata l'unica fonte luminosa disponibile appariva inadeguata, non soddisfacente, null'altro che una imitazione scadente della luce solare che ricordava ma senza esserne minimamente all'altezza.
Comunque neppure la luce elettrica durò ancora a lungo, era impossibile produrre abbastanza energia per illuminare il mondo intero ventiquattr'ore su ventiquattro, così venne prima razionata e infine abolita.
Si rese il passaggio il più graduale possibile, le ore giornaliere in cui era possibile tenere la luce accesa furono tolte poco per volta, una in meno ogni due o tre mesi.
Così, senza neanche accorgersi, quando la luce elettrica fu tolta del tutto ormai la gente si era abituata a vivere nel buio.
Non si viveva più come prima, certo, ma si viveva.
Gli occhi delle persone si adattarono a vedere anche nelle tenebre più fitte, non come se fossero illuminate, ovvio, ma abbastanza bene per evitare di andare a sbattere ogni tre passi o di non riuscire a compiere la maggior parte delle attività normali.
Però per una cosa non c'era niente da fare: la nostalgia. Non si poteva fare nulla contro quella, né ad essa ci si sarebbe mai abituati. Non si poteva dimenticare o non rimpiangere quando al mattino ci si svegliava con il sole, quando la luce arrivava ovunque e si alzava la testa ammiccando all'azzurro intenso del cielo. Quando tutto, grazie alla luce, era ben netto e distinto, e non confuso e ambiguo in una onnipresente tenebra.
Quelli erano ricordi che si rievocavano con tristezza che sfiorava il dolore, perché si sapeva che difficilmente quei tempi sarebbero tornati.
C'era però anche chi aveva trovato il modo di evitare la nostalgia, persone che avevano deciso di cancellare dalla memoria quei giorni, fare come se non ci fossero mai stati e che il buio perpetuo fosse la condizione più naturale e adatta a vivere per l'uomo.
Questo gruppo di persone, che col tempo divennero una maggioranza, svilupparono un adattamento all'oscurità straordinario. Mentre a tutti gli altri capitava ancora ogni tanto di inciampare nei gradini o succedeva a volte di non riconoscere luoghi o persone questi nel buio erano totalmente a loro agio, questo perché avevano imparato a vedere la tenebra come la condizione ideale e, anzi, l'unica accettabile, tanto che iniziarono a guardare con aria di sufficienza quelli che ancora rimpiangevano i vecchi tempi.
Ma nonostante tutto per chi lo desiderava c'erano ancora occasioni di poter vedere un po' di luce, sebbene piuttosto rare. Ogni tanto, infatti, c'era chi accendeva dei fuochi per strada, falò di dimensioni contenute ma che bastavano ad illuminare buoni spazi e intorno ai quali si radunavano diverse persone.
Quando qualcuno di quelli che preferivano il buio e accettavano esclusivamente quello incrociava questi fuochi se ne andava in gran fretta coprendosi con le mani gli occhi feriti dalla luce che ormai aborriva.
Ma noi altri no. Il cuore ci si riempiva di gioia quando vedevamo quelle fiamme, e subito ci andavamo a sedere tutti intorno.
Quelli erano momenti bellissimi. Eravamo tutti lì. intorno al fuoco, sentivamo quel calore che ci lambiva dolcemente, davanti a noi si apriva una vista piena di colori quasi dimenticati. Nessuno parlava in quelle occasioni, eravamo tutti troppo presi dal goderci la luce. Tuttavia, pur senza scambiarci una sola parola, in quei momenti ci sentivamo tutti legati, un tipo di legame che difficilmente si trovava altrove.
Tutti gli altri, i sostenitori del buio, passando, prima di andarsene rapidamente, facevano tempo a lanciarci sguardi carichi di disprezzo, scuotevano la testa con aria di infinita superiorità, a volte ci urlavano perfino dietro: <>, ma noi non rispondevamo mai.
Poi pian piano il fuoco si spegneva. Con un po' di amarezza ci rialzavamo in silenzio e ognuno tornava alle proprie occupazioni. Poi, mentre ciascuno già se ne andava per la sua strada, guardavamo il cielo nero e ci immaginavamo il giorno in cui il sole sarebbe rispuntato all'orizzonte: era una speranza del tutto irrazionale, tuttavia noi ci credevamo...
Il sole non c'era più, era scomparso. Un giorno era sceso dietro l'orizzonte e non era più risalito.
Il cielo era nero, fatto di un'oscurità profonda e uniforme che incombeva sulle teste di tutti, rotta giusto da qualche stella e dal volto cadaverico della luna.
Mi ricordavo ancora di quando esisteva il giorno ed ogni mattina il sole faceva capolino riempendo di luce e calore ovunque i suoi raggi arrivassero. Quei momenti li ricordavo con una nostalgia struggente e una amarezza profonda.
Ero appena un ragazzo quando accadde, non avevo più di dodici o tredici anni: un mattino il sole semplicemente non era sorto, né quello dopo, né mai più.
Quei giorni rimasero impressi nella memoria di tutti. Ovunque c'era una gran confusione che a tratti si mischiava con il panico e a tratti con la curiosità per il fenomeno inspiegabile. Furono in molti coloro che tentarono di trovare una spiegazione, un motivo, una giustificazione per ciò che era accaduto, ma apparve presto chiaro che non ne esistevano o per lo meno erano impossibili da trovare e logicamente se era impossibile trovare una causa era impossibile trovare una soluzione.
Così si applico quel principio, ben radicato nella mente umana, che quando un problema non si può risolvere, oppure è troppo difficile farlo, non ce ne si preoccupa.
L'ansia che la situazione prevedibilmente procurava pian piano svanì e la gente, in fondo non aveva altra scelta, prese atto del cambiamento e incominciò ad adattarsi alla nuova condizione.
All'inizio si tentò di rendere il cambiamento meno radicale possibile e si iniziò a fare un largo uso della luce elettrica. Ciò garantiva luminosità e permetteva di evitare una vita di perpetuo buio. Ma c'era qualcosa di triste e terribilmente malinconico nella luce elettrica: ora che era diventata l'unica fonte luminosa disponibile appariva inadeguata, non soddisfacente, null'altro che una imitazione scadente della luce solare che ricordava ma senza esserne minimamente all'altezza.
Comunque neppure la luce elettrica durò ancora a lungo, era impossibile produrre abbastanza energia per illuminare il mondo intero ventiquattr'ore su ventiquattro, così venne prima razionata e infine abolita.
Si rese il passaggio il più graduale possibile, le ore giornaliere in cui era possibile tenere la luce accesa furono tolte poco per volta, una in meno ogni due o tre mesi.
Così, senza neanche accorgersi, quando la luce elettrica fu tolta del tutto ormai la gente si era abituata a vivere nel buio.
Non si viveva più come prima, certo, ma si viveva.
Gli occhi delle persone si adattarono a vedere anche nelle tenebre più fitte, non come se fossero illuminate, ovvio, ma abbastanza bene per evitare di andare a sbattere ogni tre passi o di non riuscire a compiere la maggior parte delle attività normali.
Però per una cosa non c'era niente da fare: la nostalgia. Non si poteva fare nulla contro quella, né ad essa ci si sarebbe mai abituati. Non si poteva dimenticare o non rimpiangere quando al mattino ci si svegliava con il sole, quando la luce arrivava ovunque e si alzava la testa ammiccando all'azzurro intenso del cielo. Quando tutto, grazie alla luce, era ben netto e distinto, e non confuso e ambiguo in una onnipresente tenebra.
Quelli erano ricordi che si rievocavano con tristezza che sfiorava il dolore, perché si sapeva che difficilmente quei tempi sarebbero tornati.
C'era però anche chi aveva trovato il modo di evitare la nostalgia, persone che avevano deciso di cancellare dalla memoria quei giorni, fare come se non ci fossero mai stati e che il buio perpetuo fosse la condizione più naturale e adatta a vivere per l'uomo.
Questo gruppo di persone, che col tempo divennero una maggioranza, svilupparono un adattamento all'oscurità straordinario. Mentre a tutti gli altri capitava ancora ogni tanto di inciampare nei gradini o succedeva a volte di non riconoscere luoghi o persone questi nel buio erano totalmente a loro agio, questo perché avevano imparato a vedere la tenebra come la condizione ideale e, anzi, l'unica accettabile, tanto che iniziarono a guardare con aria di sufficienza quelli che ancora rimpiangevano i vecchi tempi.
Ma nonostante tutto per chi lo desiderava c'erano ancora occasioni di poter vedere un po' di luce, sebbene piuttosto rare. Ogni tanto, infatti, c'era chi accendeva dei fuochi per strada, falò di dimensioni contenute ma che bastavano ad illuminare buoni spazi e intorno ai quali si radunavano diverse persone.
Quando qualcuno di quelli che preferivano il buio e accettavano esclusivamente quello incrociava questi fuochi se ne andava in gran fretta coprendosi con le mani gli occhi feriti dalla luce che ormai aborriva.
Ma noi altri no. Il cuore ci si riempiva di gioia quando vedevamo quelle fiamme, e subito ci andavamo a sedere tutti intorno.
Quelli erano momenti bellissimi. Eravamo tutti lì. intorno al fuoco, sentivamo quel calore che ci lambiva dolcemente, davanti a noi si apriva una vista piena di colori quasi dimenticati. Nessuno parlava in quelle occasioni, eravamo tutti troppo presi dal goderci la luce. Tuttavia, pur senza scambiarci una sola parola, in quei momenti ci sentivamo tutti legati, un tipo di legame che difficilmente si trovava altrove.
Tutti gli altri, i sostenitori del buio, passando, prima di andarsene rapidamente, facevano tempo a lanciarci sguardi carichi di disprezzo, scuotevano la testa con aria di infinita superiorità, a volte ci urlavano perfino dietro: <
Poi pian piano il fuoco si spegneva. Con un po' di amarezza ci rialzavamo in silenzio e ognuno tornava alle proprie occupazioni. Poi, mentre ciascuno già se ne andava per la sua strada, guardavamo il cielo nero e ci immaginavamo il giorno in cui il sole sarebbe rispuntato all'orizzonte: era una speranza del tutto irrazionale, tuttavia noi ci credevamo...
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Approfito del post anche per dire che il Blog (come me) va in vacanza per una settimana.
So long...